martedì 26 settembre 2017

Nuovo incontro a Roma Minniti-Haftar e le parole esatte sulle migrazioni pronunciate dal Cardinal Bassetti, presidente della CEI

I fiori lanciati in mare da papa Francesco in occasione della sua visita a Lampedusa

Incontro di Haftar con Minniti, da La Stampa

Si gioca tra Roma e Tunisi una delle giornate più importanti per il processo di pacificazione della Libia. Da una parte con la visita di Khalifa Haftar in Italia, dall’altra con l’inizio della fase di dialogo tra i comitati preposti alla modifica degli accordi di Skhirat. Il generale, comandante del sedicente Esercito nazionale libico, è arrivato a Roma stasera, e domani incontra il ministro Marco Minniti, il titolare del dicastero dal quale è giunto l’invito in Italia all’uomo forte della Cirenaica. L’incontro col capo del Viminale non era nei programmi ufficiali, ma fonti informate riferiscono che i due si vedranno nell’ambito degli appuntamenti fissati in calendario. Tra questi c’è un momento di incontro col capo di Stato maggiore della Difesa, generale Claudio Graziano, a premessa di quello col ministro della Difesa, Roberta Pinotti. Non è chiaro tuttavia sua quale formato avverrà il primo incontro, tra le ipotesi al vaglio ci sono il bilaterale “faccia a faccia”, la stretta di mano con gli onori militari o il briefing con lo staff. Su quali saranno gli argomenti all’ordine del giorno c’è il massimo riserbo, sebbene saranno affrontate tematiche sui futuri assetti della Libia. 


Il testo integrale del capitolo del discorso del cardinale Bassetti, presidente della Cei, dedicato alle migrazioni. Da Avvenire.

Le migrazioni

Accogliere, proteggere, promuovere e integrare: sono questi i 4 verbi che Papa Francesco ha donato alla Chiesa per affrontare la grande sfida delle migrazioni internazionali. Una sfida complessa, in parte inesplorata ma dal significato antico.

Bisogna subito sgombrare il campo da un equivoco che potrebbe sorgere da un dibattito pubblico particolarmente aspro su questi temi: la Chiesa cattolica si è sempre occupata dell’ospitalità del forestiero e del migrante. E lo ha fatto non certo per un’idea politica o sociale, ma per amore di ogni persona. È il cuore della nostra fede: di un Dio che si è fatto uomo. L’ospitalità è, da tradizione, un’opera di misericordia e, come ci insegna Abramo, una delle più alte forme di carità e di testimonianza della fede. Attraverso l’ospite noi scegliamo di accogliere o respingere Cristo nella nostra vita (Mt 25, 35.43). Il richiamo alla difesa della dignità inviolabile del migrante, inoltre, è un insegnamento presente in molti documenti della Santa Sede e che si è fatto carne nell’opera di alcuni grandi apostoli del passato, tra i quali molti italiani: Francesca Cabrini, Geremia Bonomelli, Giovanni Battista Scalabrini.

Oggi questa sfida antica si ripropone con tratti nuovi. E lo sguardo profetico di Papa Francesco ha il merito storico di aver tolto i migranti da quella cappa di omertà in cui erano stati confinati dalla «globalizzazione dell’indifferenza» e di averli messi al centro della nostra attività pastorale. Promuovere una pastorale per i migranti significa, prima di tutto, difendere la cultura della vita in almeno tre modi: denunciando la «tratta» degli esseri umani e ogni tipo di traffico sulla pelle dei migranti; salvando le vite umane nel deserto, nei campi e nel mare; deplorando i luoghi indecenti dove troppo spesso vengono ammassate queste persone. I corridoi umanitari – nei quali la Chiesa italiana è impegnata in prima persona – sono, quindi, necessari per dare vita ad una carità concreta che rimane nella legalità.

Il primato dell’apertura del cuore al migrante ci fa guardare oltre le frontiere italiane. Ci invita a intensificare la cooperazione e l’aiuto allo sviluppo al Sud del mondo, per far risorgere tra i giovani la speranza di un futuro degno nella propria patria. È una linea su cui si muove da tempo la CEI, sostenendo numerosi progetti di sviluppo e, recentemente, con la campagna Liberi di partire, liberi di restare. Si tratta di un progetto innovativo perché affronta il tema del diritto delle persone a restare nel proprio Paese senza essere costrette a scappare a causa della guerra o della fame. Accogliere è un primo gesto, ma c’è una responsabilità ulteriore, prolungata nel tempo, con cui misurarsi con prudenza, intelligenza e realismo. Non a caso il Santo Padre, di ritorno dalla Colombia, ha ricordato che per affrontare la questione migratoria occorre anche «prudenza, integrazione e vicinanza umanitaria». Tale processo va affrontato con grande carità e con altrettanta grande responsabilità salvaguardando i diritti di chi arriva e i diritti di chi accoglie e porge la mano.

Il processo di integrazione richiede, innanzitutto, di fronteggiare, da un punto di vista pastorale e culturale, la diffusione di una «cultura della paura» e il riemergere drammatico della xenofobia. Come pastori non possiamo non essere vicini alle paure delle famiglie e del popolo. Tuttavia, enfatizzare e alimentare queste paure, non solo non è in alcun modo un comportamento 7 cristiano, ma potrebbe essere la causa di una fratricida guerra tra i poveri nelle nostre periferie. Un’eventualità che va scongiurata in ogni modo.

 Infine, alla luce del Vangelo e dell’esperienza di umanità della Chiesa, penso che la costruzione di questo processo di integrazione possa passare anche attraverso il riconoscimento di una nuova cittadinanza, che favorisca la promozione della persona umana e la partecipazione alla vita pubblica di quegli uomini e donne che sono nati in Italia, che parlano la nostra lingua e assumono la nostra memoria storica, con i valori che porta con sé.

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