sabato 23 settembre 2017

A che serve parlare di pace se vendiamo le armi a paesi in guerra ? 1 ottobre a Loppiano incontro con il Comitato riconversione RWM


La riconversione possibile. Un lavoro per la vita.
A che serve parlare di pace se vendiamo armi ai Paesi in guerra? Le bombe del Sulcis e il nostro futuro
Domenica primo ottobre 2017
Auditorium Loppiano 10.00-12.30

Incontro con il Comitato riconversione Rwm Sardegna
interventi finora programmati di 
Pax Christi Italia, Oxfam, Banca etica, Focolari Italia, Centro internazionale Giorgio La Pira, Rete disarmo

Perché questo incontro

IL FATTO

Nel territorio del Sulcis Iglesiente in Sardegna una fabbrica produce bombe che vengono esportate verso l’Arabia Saudita, Paese a capo di una coalizione militare impegnata nella guerra in corso in Yemen. Da uno dei territori più poveri d’Italia si è costruito così un collegamento con un conflitto dimenticato nella zona del Golfo persico dove gli ordigni fanno stragi di civili grazie ai bombardamenti che colpiscono anche scuole e ospedali come denunciato da commissioni di inchiesta nominate dall’Onu. Il caso è noto perché è arrivato anche sulla stampa e in Tv. Ma abbondanza di informazioni e foto traumatiche sono accessibili sul web. Le inchieste scandalistiche delle Iene, nota trasmissione dei canali commerciali di Mediaset, sono molto esplicite, usano un linguaggio accessibile a tutti quando mostrano le immagini delle stragi e il sindaco di Domusnovas, paese dove si situa gran parte dell’azienda Rwm Italia, che ripete il mantra sulla necessità di salvare una delle poche fabbriche rimaste su un territorio desertificato dalla crisi economica. Altre sequenze mostrano passanti che scappano senza rilasciare interviste oppure che ripetono il concetto secondo il quale lo spostamento della produzione non risolverebbe il problema della guerra ma solo la perdita di occupazione.

LA STORIA RECENTE 

Quel sito di fabbricazione di esplosivi era originariamente legato alla filiera delle miniere del Sulcis. Fondi pubblici hanno sostenuto nel 2001 una riconversione verso la fabbricazione di ordigni militari. Erano ancora i tempi di una vasta mobilitazione popolare con esponenti della società civile, istituzioni e chiese che non avevano remore a prendere posizione contro un progetto considerato infausto. La fine di questo movimento spontaneo resta un mistero. Probabilmente si è rivelata decisiva la versione dell’allora società Sei (prevalente proprietà francese) che assicurava il mantenimento degli scambi commerciali all’interno delle nazioni alleate nell’ottica della difesa comune.

UNA LEGGE GIUSTA VIOLATA IMPUNEMENTE 

La proprietà del sito produttivo passa di mano nel 2010 con l’acquisizione da parte della tedesca Rheinmetall Defence che, come documentato abbondantemente e minuziosamente da Giorgio Beretta su diverse fonti a cominciare da Unimondo.org, invia gli ordini bellici all’Arabia Saudita, uno degli acquirenti più appetibili del fronte occidentale e noto alleato strategico degli Stati Uniti. I tedeschi mantengono un certo formale rigore morale. Dalla Germania non partono armi verso il Paese del Golfo. Avviene tutto dall’Italia dove vige tuttavia la legge 185/90 che vieta il commercio e il transito di armi verso nazioni coinvolte in conflitti armati e/o violano i diritti umani. Una legge che non è caduta dal cielo ma è stata il frutto di una grande lotta civile nel solco della Costituzione che ripudia la guerra. Lavoratori che hanno esposto i loro corpi per far passare un concetto che gran parte della classe dirigente di questo Paese ha invece ignorato. Elio Pagani e Marco Tamborrini (comitato Aermacchi), Franca Faita (tra le obiettrici della Valsella) per fare qualche nome meriterebbero la nomina di senatori a vita e invece, davanti ad interrogazioni parlamentari del 2016 sul carico di bombe verso l’Arabia Saudita, Paolo Gentiloni , allora ministro degli esteri e Roberta Pinotti, ministro della Difesa, hanno affermato che il problema non sussiste ed è tutto regolare perchè non esistono posizioni ufficiali dell’Onu in materia. Nell’aula dove insiste il blocco bronzeo del trionfo di casa Savoia, si son sentite giustificazioni improntate a realismo e a cautela davanti ad una situazione tragica che merita altre risposte. Stessa linea ripetuta dal sottosegretario agli Esteri Amendola discutendo di una mozione presentata a luglio 2017. Il problema non sono solo i governanti ma la carenza di coscienza collettiva come dimostra ad esempio la flebile protesta verso il recente coinvolgimento italiano nella guerra in Libia del 2011 che ha scatenato l’inferno e il caos alle nostre porte. Una guerra che gli stessi vertici militari hanno criticato e sostenuto controvoglia, come risulta da diverse dichiarazioni ex post. Eppure una resistenza morale e attiva esiste. Anche e soprattutto in Sardegna, con riferimento alle bombe di Domusnovas non ha dominato il silenzio.

LA RESISTENZA ALLA BANALITA’ DEL MALE

Da diverse prospettive hanno mantenuto il punto gli “irregolari”, anarchici e movimenti nonviolenti, visti con compatimento o sospetto da parte di molti che pur di pace parlano ma in maniera generica , rimuovendo lo sguardo dalla realtà delle cose. Scavando in profondità si conoscono storie come quella di Teresa Piras, allieva di Aldo Capitini, che ha fatto la scelta di di andare ad insegnare nel Sulcis proprio per sostenere i minatori nella loro dura condizione lavorativa ed è rimasta a lottare pacificamente su quella terra cercando di recuperare antiche e feconde pratiche agricole.
Inaspettatamente, dopo una lezione pubblica in università a Cagliari organizzata nel marzo 2017 dalla scuola di partecipazione politica collegata con il Movimento dei Focolari, la realtà locale di questa realtà ecclesiale diffusa a livello mondiale, ha deciso di organizzare il 7 maggio 2017 una marcia ad Iglesias, a ridosso di Domusnovas, dando voce alle diverse espressioni contrarie alla presenza di una fabbrica di bombe sul territorio. Titolo del percorso: “pace parliamone”. Già a marzo del 2016 i giovani dei Focolari avevano organizzato a Roma nell’auletta dei gruppi parlamentari della Camera, un incontro sulla pace improntato sulle risposte inevase a partire dai carichi di armi in partenza dalla Sardegna per proseguire con la violazione della legge 185/90 , la presenza degli ordigni nucleari nelle basi Usa in Italia e la progressiva conversione del core business di Finmeccanica Leonardo dal settore civile a quello degli armamenti. Domande inconsuete che hanno messo in difficoltà soprattutto i parlamentari di estrazione cattolica presenti, che immaginavano di trovare il solito appello ai valori astratti. Alcuni di loro hanno fatto ricorso alla categoria del realismo politico di weberiana memoria pur trovandosi di fronte a testimonianze come quella di un giovane ingegnere che, d’accordo con la sua ragazza e i familiari, ha deciso di rifiutare un lavoro presso una società missilistica.

CONTRO L’INDIFFERENZA . A IGLESIAS LA COSTITUZIONE È VIVA

La marcia del 7 maggio di Iglesias con tanto di comizio in piazza e appello lanciato a livello nazionale: “perché non possiamo restare indiferrenti”, ha avuto un seguito il giorno dopo nella costituzione di un comitato per la riconversione dell’industria bellica e la valorizzazione del patrimonio del Sulcis Iglesiente, con la presenza di compenti di diversissima e plurale estrazione che ha potuto presentare questa istanza in una affollata conferenza stampa alla Camera dei Deputati il 21 giugno 2017, assieme a rete disarmo,rete pace, Amnesty international,banca etica, Oxfam, Focolari e l’intervento di Medici senza frontiere, ma riportato solo da Avvenire che ha dato grande spazio al percorso di Iglesias. Sono le stesse associazioni che a marzo 2017, a due anni dall’inizio dei bombardamenti sullo Yemen, hanno sottoscritto un forte e finora inascoltato appello all’attuale ministro degli esteri. La presenza ragionevole, mite e ostinata, del comitato sardo ha portato ad una dichiarazione unanime del consiglio comunale di Iglesias del 19 luglio 2017 che si è dichiarata città di pace chiedendo ogni iniziativa urgente per riconvertire economicamente il territorio da liberare da ogni ricatto sul lavoro. Le sezioni locali di Confindustria, Cgil e Cisl, invece di considerare questa occasione per ridiscutere l’applicazione e le risorse effettive del piano Sulcis approvato a livello regionale hanno rilasciato una comunicazione congiunta sulla necessità di mantenere in loco la produzione della Rwm, ignorando evidenze come quella esposta recentemente dall’Istituto Affari internazionali sul cambio di strategia dell’Arabia Saudita di investire su una propria industria militare. Nell’attuale situazione di grave fragilità e solitudine dei lavoratori, bisogna saper agire sulle leve decisionali effettive che non risiedono solo nella sede generale della Rheinmetall che potrebbe decidere di delocalizzare con calma come fatto ad esempio dalla statunitense Alcoa. Le parti sociali hanno la possibilità di ovviare alla loro miopia culturale ma la questione di Domusnovas è paradigmatica perché mette in evidenza la crisi di un intero Paese incapace di elaborare una politica a favore della pace a partire dalle scelte strutturali come sono quelle economiche senza le quali come diceva Giorgio La Pira non ci resta altro che la “magra potestà delle prediche”.

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