venerdì 14 aprile 2017

Le sanzioni a un paese in guerra sono un crimine? Da "Crimini di guerra:Sanzioni"


Da "Crimini di guerra". Edizione Internazionale/Contrasto. A cura di Roy Gutman e David Rieff

Sanzioni
di Tom Gjelten

I bambini muoiono perchè gli ospedali non hanno le cure necessarie per curarli. Le fabbriche chiudono e la disoccupazione aumenta vertiginosamente perchè le imprese non possono importare i materiali di cui hanno bisogno o esportare i prodotti finiti. Gli alimenti di base sono così cari che una famiglia media non può permettersi di nutrirsi bene. Imporre sanzioni a un paese può essere considerato, in alcuni casi, un crimine di guerra ?


Se questa tesi non fosse stata sostenuta così spesso da personaggi di dubbia reputazione come Saddam Hussein o Sloban Milosevic, la questione potrebbe essere presa molto più seriamente. Quando uno Stato - o un gruppo di Stati - rifiuta di avere rapporti commerciali con un paese, è soprattutto la popolazione civile del paese oggetto delle sanzioni a farne le spese. Inevitabilmente, le sanzioni colpiscono persone innocenti, e in casi estremi possono costituire una violazione del diritto internazionale umanitario.

Le sanzioni assumono varie forme. L' articoli 41 della Carta delle Nazioni Unite autorizza il Consiglio di sicurezza a prendere "provvedimenti che non implicano l' uso delle armi (...) per imporre le proprie decisioni (...). Tra questi può esserci la parziale o totale interruzione dei rapporti commerciali e delle comunicazioni ferroviarie, marittime, aeree, postali, telegrafiche, radio e di altro genere, oltre alla rottura dei rapporti diplomatici". I provvedimenti di embargo internazionali nei confronti di Rhodesia, libia, Haiti, Iraq e Jugoslavia sono stati decisi in base a questa disposizione. In alternativa, le sanzioni possono essere imposte da un' organizzazione regionale, come ha fatto l' Unione europea nel caso della Jugoslavia. Possono anche essere decise unilateralmente, da un paese nei confronti di un altro, come nel caso dell' embargo commerciale statunitense contro Cuba.

Una distinzione importante va fatta per le sanzioni imposte o applicate in tempo di guerra da una o più parti in conflitto. Il diritto internazionale umanitario non è applicabile in assenza di conflitto armato. Questo significa che le sanzioni "di pace", come quelle contro Cuba, la Libia, la Rhodesia e la Jugoslavia, possono essere contestate sul piano morale o politico, ma non possono essere considerate crimini di guerra. I sostenitori delle sanzioni economiche possono addirittura giustificarle presentandole come un' alternativa all' azione militare.

Nel caso dell' Iraq, gli stati Uniti e gli altri paesi applicarono le sanzioni prima di cominciare la guerra del Golfo, nel tentativo di costringere il regime iracheno a ritirarsi dal vicino Kuwait, invaso nell' agosto del 1990. Ma i paesi che avevano preso la decisione, compresi gli Stati Uniti, continuarono a imporre le sanzioni in tempo di guerra, e quindi erano tenuti a rispettare il diritto umanitario internazionale.

Il primo protocollo aggiuntivo del 1977 alle convenzioni di Ginevra del 1949 vieta in tempo di guerra qualsiasi provvedimento che abbia come effetto quello di privare la popolazione civile dei mezzi indispensabili alla sopravvivenza. L' articolo 70 del Primo protocollo impone operazioni di soccorso alle popolazioni civili "non adeguatamente fornite" di mezzi di sussistenza. L' articolo 18 del Secondo protocollo impone l' obbligo di soccorrere le popolazioni civili " in gravi difficoltà a causa della mancanza di mezzi necessari alla sopravvivenza, come cibo e forniture mediche". Queste disposizioni stabiliscono i limiti legali che rendono accettabili le sanzioni, anche se a volte possono essere soggette a interpretazioni. L' embargo delle Nazioni Unite contro l' Iraq non prevede aiuti "umanitari" , ma alcuni critici sostengono che comunque le sanzioni causano eccessiva sofferenza alla popolazione.

Altre disposizioni del diritto internazionale limitano la portata e la durezza delle sanzioni economiche. L' articolo 33 della Quarta Convenzione di Ginevra (che ha come oggetto la protezione dei civili in tempo di guerra), per esempio, proibisce le "sanzioni collettive". Il Commentario delle Convenzioni del Comitato internazionale della Croce Rossa interpretava questa disposizione come una proibizione a infliggere "punizioni di qualsiasi tipo a singole persone o a interi gruppi in violazione dei più elementari principi umanitari, per azioni che queste persone non hanno commesso".
I sostenitori delle sanzioni potrebbero difendere i provvedimenti che non tengono conto di queste restrinzioni affermando che non costituiscono una punizione collettiva perchè sono rivolti contro i governi, non contro le persone, e i danni collaterali rivolti ai civili sono disgrazie non intenzionali. Nel caso dell' Iraq, tuttavia, questa tesi ha perso validità quando le autorità statunitensi hanno lasciato chiaramente intendere che le sanzioni avevano lo scopo di creare condizioni di disagio nel paese per costringere la popolazione a rovesciare il governo.

Le sanzioni in tempo di pace possono essere valutate sulla base di considerazioni morali o politiche piuttosto che giuridiche. La Conferenza dei Vescovi cattolici degli Stati Uniti ha dichiarato che "le sanzioni possono costituire una alternativa non militare alla terribile scelta della guerra o all' indifferenza di fronte all' aggressione e all' ingiustizia". Ma alcuni esperti di filosofia politica non sono d' accordo, e sostengono che delle sanzioni applicate in modo aggressivo anche in assenza di conflitto armato, possono essere considerate una forma di assedio e sono quindi discutibili. Le sanzioni rischiano di diventare una forma di guerra contro i civili, intrapresa da governi non disposti a pagare il prezzo necessario per attaccare direttamente un regime nemico.
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