mercoledì 20 aprile 2016

Distributori ENI sabotati. Contro le politiche di guerra dell'Eni,ma non così!!!!!

Trento | Rovereto - Sabotati distributori ENI contro la guerra


Apprendiamo dai media locali che, nella notte fra il 15 e il 16 aprile, due distributori a Trento e uno a Rovereto sono stati sabotati da mani anonime: qualche decina di pompe tagliate e un bancomat preso a mazzate. Su vetrate e saracinesche lasciate le scritte: "Via l'ENI dalla Libia, no a guerre e frontiere" e "L'ENI vive di guerra".
Lun, 18/04/2016 – 20:45

giovedì 14 aprile 2016

Energia FV-Il rekord mondiale dell'Italia che Renzi nasconde


Forse perchè il terzo conto energia del 2007, che dette la svolta al mercato italiano, fu firmato dal ministro allo sviluppo economico Pierluigi Bersani......


Con 227,1 GW di potenza cumulata, a livello mondiale il fotovoltaico ora fornisce l'1,3% dell'elettricità del pianeta. In 23 paesi nel mondo ora ci sono più di 1 GW di impianti e in 22 il FV ha passato la soglia dell'1% sulla domanda elettrica.
L'Italia continua a mantenere il record mondiale, soddisfacendo con il solare quasi l'8% del fabbisogno elettrico (vedi grafico). 



martedì 12 aprile 2016

Caso Regeni e morti italiani di serie B: i due tecnici in Libia per l'ENI



Da inizio marzo si parla molto della morte al Cairo di Giulio Regeni e il 9 aprile l’Italia ha richiamato dall’Egitto il suo ambasciatore.

Il 1 marzo erano stati uccisi in Libia due tecnici italiani che lavoravano negli impianti dell’ ENI, ma i particolari della tragedia dei due uomini, e delle loro famiglie, non hanno avuto dai media italiani la stessa attenzione della storia di Giulio Regeni.

Sono soprattutto i giornalisti dell’area di centro sinistra ad avere preso a cuore la verità sulla morte del giovane ricercatore e probabilmente gli stessi ignorano quasi completamente la storia dei due tecnici uccisi in Libia.

Così dobbiamo leggere Libero, giornale della destra più battagliera, per conoscere dettagli importanti del rapimento e della morte dei tecnici italiani, dipendenti della Bonatti Spa ma in Libia per lavorare agli impianti ENI.

I particolari della loro storia sono però ugualmente istruttivi.

 
Vi propongo integralmente l’articolo di G.Amadori su Libero, “Petrolio rosso sangue”. Vi anticipo però aspetti della vicenda che mi hanno particolarmente colpito.

 
A inizio giugno fu rapito l’amministratore delegato libico della Mellitah oil and gas, joint venture tra ENI e Noc, compagnia di stato libica. Fu liberato dopo 4 giorni, una volta pagato il ricco riscatto richiesto. Il 19 luglio i 4 tecnici italiani sono rapiti mentre arrivavano a Mellitah in auto e senza scorta, avvertiti durante il rientro in Libia dall’Italia che era saltato il trasferimento via mare fino agli impianti ENI. “La colpa è anche dell’ ENI che non ha controllato che il contrattista  (la Bonatti Spa) applicasse le norme di sicurezza che lei stessa aveva stabilito, come l’ uso della nave per gli spostamenti - commentano i due tecnici sopravvissuti.”

 
Il 23 dicembre uno dei banditi spiega che era stato raggiunto un accordo per un riscatto di 4 milioni ma”l’amico ha interrotto la trattativa e chiuso i contatti”. “Ma vedrete che alla fine pagheranno , lo hanno sempre fatto: per il dottore, per il giornalista, per gli operai delle strade”…Il riferimento è probabilmente al medico catanese Ignazio Scaravilli, e a Francesco Scalise e Luciano Gallo dipendeti di una compagnia edile. Nel 2011 era stato rapito anche il giornalista Domenico Quirico.”

 
Di seguito il link dell’ articolo pubblicato su Libero il 4 aprile.

www.pressreader.com/italy/libero/20160404/281535110135519

mercoledì 6 aprile 2016

No NATO, No Oil ed altro. Nella nuova fase politica mettiamo cose concrete


Si è aperta in Italia una nuova fase politica che durerà almeno fino ad un previsto, ma come vedremo ancora non sicuro, referendum costituzionale nel prossimo autunno.

In questa fase politica il Presidente del Consiglio Renzi sarà sotto un fuoco incrociato da parte di M5S, alcuni giornali piccoli ma influenti di centrosinistra (Fatto e Manifesto) e di destra,  di quella che era la sinistra del centrosinistra ma ormai allargata a parte del Pd, dell' opposizione sociale (si spera), del centro destra.

In questi mesi incandescenti Renzi non ce la farà a zittire i suoi oppositori. Il 17 aprile se vince sarà per l' astensione e nel voto amministrativo i risultati saranno diversificati e risentiranno dalle situazioni locali. Quindi in questi mesi prevedo che Renzi o sarà disarcionato o rimarrà sotto un attacco costante.

Quello che invece non vedo ancora scontato saranno i contenuti di questa fase. Rischiano di essere limitati alla questione morale o alle riforme costituzionali, temi fondamentali ma che da soli lascierebbero fuori altri aspetti di forte crisi del nostro paese, crisi che potrebbero sfociare addirittura in guerre o in un aggravamento ulteriore della situazione economica-sociale-ambientale.
Occorre operare quindi da subito affinchè alcuni temi cruciali siano compresi nel teso dibattito politico che sarà presente da qui ad ottobre.
Li indico velocemente:

No Nato -
Comprende moltissimi altri temi importanti, ma l' autonomia politica dell' Italia, in questo momento molto limitata, consentirebbe di affrontare questioni economiche, questioni di guerra e migranti, questioni ambientali. Oggi il nostro legame con la Nato, gli Usa e la Ue ci costringe a una politica di guerra, ad una politica neoliberista e di distruzione del welfare, ad alimentare gli squilibri mondiali che rendono le migrazioni un problema esplosivo,  a comportamenti che mettono a rischio di disastri i parametri vitali del nostro ambiente. Quindi, agendo in direzione No Nato si agisce anche contro l'Ue, contro il neoliberismo, contro le guerre, per non distruggere l' ambiente.

No Oil -
 Il tema apparirà marginale, presente al centro del dibattito politico solo per la coincidenza del referendum del 17 aprille sulle trivellazioni marine.  Ma ritardare una rivoluzione energetica porta conseguenze enormi: l' impazzimento del clima, le guerre, la distruzione dell' ambiente, peggiora gravemente la crisi economica e sociale.

Gli altri temi, tutti cruciali sono:

No guerra - compresa nel No Nato, è il rischio più grande dell' umanità. La strada più facile alla quale può portare la crisi economica ed energetica. Prima di tutto dobbiamo sopravvivere, anche per soffrire, lamentarci, faticare.

Nuovi welfare - Scrivo nuovi perchè dobbiamo pensare al nostro, italiano, a quello di tutte le economie avanzate e a quello delle economie più povere. Secondo me sarebbe giusto che tutte le società tendessero all' uguaglianza ed a ridurre le differenze di tenore di vita.  Nell' immediato però le politiche economiche e sociali saranno inevitabilmente diverse e numerose.

Democrazia vera - E' ormai evidente a chi è in buona fede, che la democrazia non è avere la possibilità di votare periodicamente. Le scelte collettive avvengono troppo spesso in molti altri luoghi diversi dalle assemblee elettive e non esiste uno spazio internazionale elettivo e neppure vagamente democratico (lo sarebbe se ogni testa nel mondo contasse un voto su questioni comuni, così non è).

Da questo quadro globale il mio piccolo messaggio è quindi questo:

in Italia nei prossimi mesi ci saranno forti tensioni politiche, mettiamo dentro il dibattito  le questioni vitali: il no alla guerra, l' autonomia da USA e altri poteri non democratici, la transizione energetica che è inevitabile e rischiosa se ritardata ulteriormente, la tendenza ad un vera democrazia, la non distruzione dell' ambiente.

Come ?
Ognuno come può.  Ma sarebbe opportuno discuterne insieme in più persone possibile.

Marco Palombo

venerdì 1 aprile 2016

Libia, una guerra civile finanziata anche dall' Eni



Il 26 novembre 2014 il ministro degli esteri Gentiloni spiegava a Gad Lerner, in una intervista televisiva pubblicata anche da Repubblica:
..Se anche, semplificando, descrivessimo una Libia spaccata in due fra Cirenaica e Tripolitania, bisogna sapere che nessuna delle due parti è in grado di prevalere militarmente sull’ altra. La Banca centrale libica continua a funzionare, paga gli stipendi ai dipendenti pubblici sull’ intero territorio dello stato, utilizzando i proventi di gas e petrolio che anche l ‘Eni continua a versarle…”

In Libia, dopo elezioni generali che si sono tenute nel giugno 2014, hanno governato, fino a questi giorni, due esecutivi e due parlamenti, combattendosi violentemente. Uno da Tobruk, sostenuto da Arabia saudita, Egitto e paesi occidentali, l' altro da Tripoli, appoggiato dal Qatar e dalla Turchia. Tra le altre cose, a fine 2014, nonostante l' intensificarsi dei conflitti armati, la produzione petrolifera era cresciuta di nuovo fino a circa 1 milione di barili il giorno, la più alta dall' inizio della guerra nel marzo 2011.
Sul Corriere della Sera il 12 novembre 2014, Franco Venturini aveva proposto per fermare la guerra civile un embargo al petrolio e gas libico. Di seguito alcune frasi del suo scritto:
“…due governi e due parlamenti che si delegittimano a vicenda, milizie armate che si spartiscono territori ed aeroporti, tentazioni separatiste, lotte feroci sui proventi petroliferi,…
la nostra ambasciata a Tripoli è l’ unica delle “grandi” rimasta aperta. L’ Eni continua ad operare, seppur tra mille difficoltà…
..ma esiste una terza possibilità. La Libia, anche oggi vive delle sue esportazioni di petrolio e gas. E’ quella la “cassa” attorno alla quale ci si massacra……..un embargo energetico della Comunità internazionale potrebbe costringere le milizie alla ragione, per sopravvivere…”

Il 14 novembre avevo citato l’articolo del Corriere della Sera sul sito Sibialiria in un pezzo intitolato “ Libia, Eni che finanzia? ”. In verità avrei voluto mettere il titolo “Libia, l’ Eni finanzia gli integralisti (o i terroristi) islamici? “. Ero infatti convinto che l' Eni, avendo impianti di produzione di petrolio nei territori di entrambi i governi, pagasse anche al governo di Tripoli, sostenuto da milizie islamiste, alleate anche a gruppi vicini all' Isis, una sorta di pizzo che i gruppi armati utilizzavano poi per la loro attività militare.

Poi, come abbiamo visto all’ inizio, il 26 novembre Gentiloni precisava nell' intervista a Repubblica che era la Banca libica a gestire i fondi pagati dall’ Eni, rispondendo così involontariamente al dubbio che avevo espresso e dando una interpretazione dell’operato Eni compatibile con la legalità. Io ritengo ugualmente immorale l' atteggiamento tenuto dall' Eni, perché comunque alimentava una guerra sanguinosa. Non basta che questo possa anche essere stato fatto in un modo legale. Come diceva Martin Luther King, tutto quello che hanno fatto i nazisti era legale, mentre gli operai ungheresi nel 1956 avevano infranto le leggi. *

Tuttavia, il 2 gennaio 2015, anche lo stesso Gad Lerner, che aveva intervistato Gentiloni nel novembre precedente, scriveva perplesso sul suo blog:
Da paura….guardate chi “protegge” la base Eni e la nostra ambasciata in Libia”

Inquietante lettura l’ intervista rilasciata a Nancy Persia per il “Fatto”, dal capo della milizia libica Fayr, giunta a controllare Tripoli dalla sua roccaforte di Misurata. Salah Badi, questo è il nome del signore della guerra libico che si contrappone al generale filo-egiziano Haftar e ai suoi alleati della regione di Bendasi, si presenta con un biglietto da visita che non può lasciare insensibile l’ Italia: il compound oil&gas dell’ Eni, sito a Mellita, da dove parte il gasdotto sottomarino che arriva fino a Gela “…è protetto oggi dai nostri uomini”, dichiara Salah Badi “ proprio come l’ ambasciata a Tripoli”
Per noi l’ Italia è sempre la benvenuta perché abbiamo interessi in comune”, aggiunge il nostro prima di compiacersi di un paragone storico: “ Gli Italiani hanno riservato a Mussolini lo stesso trattamento che i libici hanno riservato a Gheddafi. Noi abbiamo esposto il corpo di Gheddafi per cinque giorni, gli italiani hanno tenuto in piazza il corpo martoriato del Duce.”
Orbene, al di là di queste suggestive reminiscenze, la notizia è che l’ Eni e l’ ambasciata italiana si trovano sotto la “protezione” di una fazione, Fayr, il cui comandante non smentisce l’ alleanza con fazioni jihadiste vicine all’ Isis, e ammonisce l’ ONU: se non vi sbrigate ad accogliere le nostre richieste, vi toccherà fare i conti direttamente con i fondamentalisti.”

Quanto succede in Libia è la conferma di quanto scrisse nel 2004 Richard Heinberg nel suo “La festa è finita.” La scomparsa del petrolio, le nuove guerre, il futuro dell’ energia. Concludendo poi amaramente: “Pietà per il paese a cui restano ancora molte risorse…”.

E’ più probabile lo scoppio di guerre civili nei paesi meno industrializzati che dispongono di risorse abbondanti, preziose e accessibili come petrolio, gas naturale e diamanti, che in quelli poveri di risorse. Questa conclusione si basa su uno studio comparativo di Indra de Soya, dell’ Università di Bonn, sul valore delle risorse naturali in 139 paesi e la frequenza delle guerre civili dal 1990 in poi. La scoperta va contro l’ ipotesi inveterata secondo cui la guerra intestina è più probabile nei paesi poveri di risorse. Spesso gruppi rivali di paesi non industrializzati usano la ricchezza ricavata dalla vendita di risorse – o dalle concessioni a società straniere per sfruttare le risorse – per finanziare la lotta armata. Pietà per il paese a cui restano ancora molte risorse…”

Si può contrastare la guerra civile anche senza la violenza

Per finire, come suggeriva nel novembre 2014 il Corriere della Sera, ci sono anche strade senza violenza per contrastare la guerra civile libica, così come tutti gli altri conflitti che stanno devastando il Medio Oriente. Interrompere i rapporti economici con i gruppi armati, quasi tutti assolutamente irregolari, potrebbe indurre le parti combattenti a trovare soluzione pacifiche. L'Unione europea, insieme agli Stati Uniti, ha fomentato i conflitti in corso in questi anni nel M.O. ed ora si trova in enorme difficoltà, molto più degli USA, per i profughi e il terrorismo che questi conflitti hanno causato. Fermare i flussi finanziari verso i gruppi armati dovrebbe essere il primo passo per costruire un futuro meno violento e, per l' Unione Europa, una situazione senza drammatiche emergenze.

Ne riparleremo, anche a proposito del referendum del 17 aprile, insieme al tema della produzione di petrolio al di fuori del controllo degli Stati nazionali e del ruolo determinante dell' Arabia saudita nel fissare le condizioni di tutto il mercato petrolifero mondiale.

Marco Palombo.


* Mi scuso per la citazione con molti amici comunisti (excusatio non petita accusatio manifesta?). Anch’ io, a mio modo, mi sono sentito comunista, ma credo che nel 1956 avessero ragione coloro che criticarono il PCI, tra questi Di Vittorio, partito che giustificò l’ invasione sovietica e lo fece fino agli anni ’80. Come ci ha ben spiegato Giorgio Gaber, ognuno di noi aveva un suo modo particolare di sentirsi comunista. Inoltre anch’ io, leggendo il capitolo “Come dovrebbe un cristiano considerare il comunismo? ” in “La forza di amare”, titolo bellissimo, ho trovato fastidioso l’ anticomunismo di M.L. King. Ma la citazione è molto utile per spiegare che la cultura legalitaria, tipo Don Ciotti e Caselli, non ha niente a che fare con la cultura della nonviolenza, che ha sempre fatto riferimento alla disobbedienza civile verso le leggi ingiuste, non sfuggendo però alle sue conseguenze giudiziarie.