sabato 31 maggio 2014

Crimea e detenuti, Corte Europea sempre a senso unico

Una lettera sul Manifesto del 31 maggio di Giulio Petrilli che, arrestato nel 1980 per partecipazione a banda armata, ha scontato sei anni di carcere per essere poi assolto.

Marco Palombo

La Corte a senso unico

La Russia esca con il suo rappresentante dalla Corte Europea di Strasburgo e non riconosca tale Corte. Tutti i tribunali internazionali sono asserviti alle decisioni delle potenze occidentali, incredibile la decisione della Corte Europea nel condannare la Russia per aver effettuato un referendum democratico sulle scelte della Crimea mentre lo stesso Tribunale non ha detto una parola sull' indipendenza illegittima del Kossovo che è a tutti gli effetti un territorio serbo. Per non parlare del Tribunale Internazionale dell' Aja che vede solo i Serbi alla sbarra, gli unici secondo questo tribunale responsabili delle guerre balcaniche.

Incredibile perchè è stato accertato che le responsabilità sono di tutti, ma il Tribunale si accanisce solo contro i Serbi. Alla luce di questi eventi spero che la Russia e il suo presidente Vladimir Putin, decidano di ritirare il loro rappresentante giudice dalla Corte Europea e non riconoscano più tale Corte. Sarebbe questa una decisione tesa a ripristinare la democrazia e il diritto internazionale.

 Un mese fa la stessa Corte ha rigettato la mia istanza per il giusto risarcimento per ingiusta detenzione, sei anni di carcere e poi assolto, non spiegando nemmeno il motivo del rigetto. Tutti i tribunali spiegano i motivi del rigetto, la Corte Europea no.

Giulio Petrilli

venerdì 30 maggio 2014

Rogo di Odessa.Marinella Correggia:"No, non potete portare fiori davanti all'Ambasciata dell'Ucraina.....

da www.napolinowar.wordpress.com 

17 maggio 2014

Appunti sul presidio per l’Ucraina


10155375_645318315536677_7107597837354422723_n“No, non potete andare a portare i fiori per i morti nel rogo di Odessa fin davanti all’ambasciata dell’Ucraina. Potrebbe sembrare una provocazione…” Ieri 17 maggio a Roma le forze di pubblica sicurezza non hanno permesso ai manifestanti italiani, russi, crimeani di andare a portare fiori fin sotto l’ambasciata dell’Ucraina. Garofani rossi e fiori bianchi sono stati sparsi a terra a poca distanza, e al minuto di silenzio hanno fatto seguito canti (Bella ciao per gli italiani, Katiuscia per i russi).

Il sit-in a piazza Verdi promosso da Giulietto Chiesa e sottoscritto da varie forze, contro l’orrore del nazifascismo collaterale al governo golpista di Kiev, e in protesta contro le complicità europee e statunitensi, è stato affollato e commovente.
C’erano bambini italo-russi e le loro mamme a reggere cartelli in caratteri latini e cirillici: contro il fascismo in Ucraina, e in segno di lutto per i morti assassinati; Helena reggeva un fotomontaggio della oligarca Julia Timoschenko con trecciona e baffi hitleriani.

Noi di No War e Sibialiria (presenti in forze…a differenza di altri che hanno firmato l’appello ma poi in piazza non c’erano…come spesso succede) avevamo cartelli contro il sostegno Usa, Ue e Nato al nazifascismo in Ucraina, senza dimenticare Siria e Libia e Venezuela. Incredibile come alla fine Ue, Usa e la loro escrescenza cancerosa, la Nato, si alleino con il peggio: Nazikiller in Ucraina, fascio-golpisti in Venezuela, Terroristi jihadisti in Siria, razzisti in Libia (ricordiamo sempre la deportazione – anzh’essa di stampo nazista – dei neri libici di Tawergha…a opera dei “ribelli di Misurata”).

Marinella Correggia

giovedì 29 maggio 2014

Ucraina, Ancona - 30 maggio, basta alla guerra civile in Ucraina

BASTA

venerdì 30 maggio ore 18.00, Piazza Roma ANCONA
Basta ai massacri fascisti e alla guerra civile in Ucraina!
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Ucraina, Genova- Presidio, 29 maggio


Genova. Oggi in piazza con l'Ucraina antifascista
Dopo le elezioni farsa che hanno eletto un oligarca miliardario alla guida dell'Ucraina, sono riprese in grande stile le operazioni militari nelle regioni ribelli del Donbass che, dopo aver sostenuto con grandissima partecipazione il referendum di secessione, hanno lasciato deserte le urne per le elezioni generali. Dopo la strage alla casa dei sindacati di Odessa (decine di anitfascisti e comunisti bruciati vivi) i massacri si susseguono con l'obiettivo di sconfiggere la resistenza antifascista. Il Partito Comunista Ucraino rischia di essere messo fuorilegge, mentre si susseguono gli attacchi ai miliziani antifascisti e comunisti.
Il partito marxista Borotba, unitamente al Partito Comunista Ucraino è al centro di attacchi e repressioni (leggi appello a sostegno). Per questo riteniamo doveroso invitare al presidio che si terrà oggi 29 maggio a Genova in Piazza Banchi organizzato da collettivo Genova City Strike (evento fb). Pensiamo sia doverosa la partecipazione di tutti i compagni e di tutti gli antifascisti.
L'imperialismo continua a seminare morte e distruzione. La guerra e il nazismo stanno tornando a colpire gli antifascisti e i proletari. Solidarietà all'Ucraina antifascista!

Bellinzona (Ch)-31 maggio-Presidio contro il fascismo in Ucraina


BELLINZONA - Sabato 31 maggio alle ore 15:00, in Piazza Rinaldo Simen a Bellinzona, avrà luogo un Presidio promosso dal Partito Comunista che ha come obiettivo quello di esprimere solidarietà alle popolazioni del sud-est dell'Ucraina.

“Intendiamo manifestare il nostro sdegno” si legge nel comunicato stampa “di fronte al ritorno prepotente del nazismo in piena Ucraina, dove - a seguito del colpo di stato di fine febbraio 2014 - gruppi di estrema destra hanno preso il potere tra gli applausi dei governi occidentali, essi stessi mandanti del golpe”.
Il Partito Comunista intende mandare un forte segnale di rabbia e di sdegno, anche al riguardo della crescente russofobia che si va diffondendo alle nostre latitudini. A questo appello hanno aderito anche altre organizzazioni, fra cui il Movimento Svizzero per la Pace, il Collettivo studentesco della SUPSI e il SISA, nonché il Centro Culturale Il Rivellino LDV di Locarno, attivo da tempo nella promozione dei legami culturali fra il popolo svizzero e quello russo.
“Invitiamo pertanto tutte le persone che si sentono vicine al tema dell'anti-fascismo e dell'anti-imperialismo a partecipare a questo importante Presidio in solidarietà all'Ucraina che eroicamente resiste al fascismo ed alle pesanti ingerenze della NATO”.

Ucraina,Milano-31 maggio,presidio al consolato ucraino

CONTRO L'ESPANSIONE DELLA N.A.T.O. IN EUROPA

SABATO 31 MAGGIO - ORE 17.30
VIA LUDOVICO DA BREME 11 – MILANO
[TRAM 14 FERMATA V.LE CERTOSA – VIA CASELLA]
PRESIDIO AL CONSOLATO  UCRAINO

Siamo contro le stragi di Poroshenko e della sua guardia nazionale al cui interno stanno i neo nazisti. 
Siamo con gli antifascisti ucraini che non vogliono il loro Paese servo della N.A.T.O.
L’annessione dell’Ucraina alla N.A.T.O. è un pericolo per tutta l’Europa
Chiamiamo quindi alla mobilitazione tutte le organizzazioni democratiche e i cittadini antifascisti amanti della pace e soprattutto tutti i lavoratori, poiché la guerra è contro il lavoro e tocca ai lavoratori fermarla.


Comitato contro la guerra – Milano

Per info: comitatocontrolaguerramilano@gmail.com - comitatocontrolaguerramilano.wordpress.com - cell. 3383899559

Milano: Contro la Nato e a fianco degli antifascisti in Ucraina

Milano. Contro la Nato e al fianco degli antifascisti in Ucraina
Presidio al consolato dell'Ucraina. Fermare il genocidio nel Donbass! Stop ai nazisti al soldo della Nato. Appuntamento alle ore 17.30 in via Ludovico da Breme 11, convocato dal Comitato contro la guerra di Milano.

mercoledì 28 maggio 2014

Ucraina, necessaria una mobilitazione in Italia contro la guerra

E' difficile oggi negare che l' attuale potere di Kiev voglia reprimere ad ogni costo la ribellione del est Ucraina ed è impossibile negare che l' attuale potere di Kiev abbia l' appoggio dell' Unione Europea.

Nonostante questo in Italia non si organizza una opposizione all' atteggiamento del nostro governo nella crisi ucraina, governo che è tutto dalla parte dei carriarmati di Kiev, che per ora hanno fatto danni limitati ma se mantenessero la promessa di sconfiggere ad ogni costo la ribellione farebbero una strage che potrebbe innescare una spirale ancora piu' tragica.

Tutti grandi analisti, nessuno chiama alla mobilitazione, cosa rischiosa perchè si rischia di far muovere poche persone e si fa brutta figura.

MA DOBBIAMO DIRLO, E' NECESSARIA UNA MOBILITAZIONE IN ITALIA E POTREBBE AVERE UNA GRANDE IMPORTANZA.

martedì 27 maggio 2014

Padova, 30 maggio: No alla guerra in Ucraina !


PER UN’EUROPA DI PACE : NO ALLA GUERRA IN UCRAINA!


Non possiamo rimanere in silenzio davanti al pericolo di un’altra guerra, stavolta in Ucraina, che potrebbe riaprire lo scontro tra Est e Ovest, tra Russia e NATO.

VENERDì 30 MAGGIO SAREMO IN PIAZZETTA GARZERIA A PADOVA
ALLE 11.30 PER DIRE CHE:

Esigiamo che la NATO, l’Unione Europea, il governo italiano, invece di preoccuparsi per realizzare ad ogni costo accordi nell’interesse geostrategico degli stati più potenti, pongano come loro priorità i diritti e il futuro della popolazione civile.

Esigiamo che l’Unione Europea, per evitare un’escalation più grande di violenza e guerra in Ucraina, sostenga con forza e decisione tutti coloro che in Ucraina e Russia operano per una soluzione nonviolenta del conflitto.

Denunciamo l’aumento della militarizzazione locale, regionale e mondiale: crescono le spese militari e cresce l’opera di militarizzazione delle coscienze.

Riteniamo inammissibile che, in piena crisi in tutta Europa, si continui ad investire più denaro negli armamenti.



Vogliamo un'Europa libera dalla guerra e dai nazionalismi.

Vogliamo un'Europa lungimirante, capace di disegnare un futuro di pace, di convivenza e di interdipendenza, di sviluppo sostenibile libero dal ricatto dei paesi possessori di fonti fossili.

Vogliamo un'Europa capace di costruire una civiltà libera, equa e pacifica.


Tutte e tutti noi possiamo fare qualcosa contro la guerra:

- sostenendo attivamente le società civili ucraina e russa che rifiutano la soluzione militare del conflitto e sono impegnate per la costruzione di società democratiche, pluralistiche e nonviolente, non oligarchiche, identitarie e fasciste;

- impegnandoci personalmente per una politica di disarmo e di trasformazione civile delle spese militari.


SVEGLIAMOCI : LA PACE è NELLE NOSTRE MANI

lunedì 26 maggio 2014

Papa Francesco in Medio Oriente e la Siria

Nella sua visita ad Amman, Gerusalemme, e Tel Aviv, Papa Francesco ha attraversato fisicamente luoghi al centro o molto vicini a conflitti tragici e complicati.

Nell’ occasione non ha usato solo parole di circostanza ma, auspicando un negoziato per “ l’ amata Siria ”  e condannando il commercio delle armi che alimenta le guerre, ha indicato per Damasco una strategia completamente diversa da quella perseguita dalla Nato con i suoi alleati arabi, anche se la differenza non è stata dichiarata apertamente.

La posizione di Bergoglio è in parte neutralizzata dai media che si guardano bene dallo spiegare le diverse posizioni tra Pontefice e Occidente e troviamo anche ambienti religiosi che fanno finta di non capirle e continuano a considerare e descrivere sempre i paesi occidentali come alleati naturali ed oggettivi della Chiesa e delle sue aspirazioni di pace.

Ma la differenza di lettura relativa alla guerra siriana rimane e il Pontefice e l’ Occidente, senza dirlo esplicitamente, spingono verso due direzioni alternative.

Marco Palombo

domenica 25 maggio 2014

Il paradosso del Consiglio di Sicurezza e della CPI


L' incredibile paradosso del Consiglio di Sicurezza ONU e della Corte Penale Internazionale

Il 22 maggio 2014 Francia e Lituania hanno presantato una risoluzione al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dove si proponeva, tra le altre cose, il deferimento della Siria alla Corte Penale Internazionale. Ma la Siria non ha ratificato il trattato di Roma che ha istituito la Corte quindi la CPI non può indagare su vicende accadute nel paese di Damasco. Può intervenire solo se lo chiede ufficialmente il Consiglio di Sicurezza.

E qui arriva il paradosso. Tra i cinque membri permanenti del CdS ben tre, USA, Russia e Cina, non hanno ratificato il trattato e quindi non accettano che la CPI indaghi sul loro territorio. Ma solo loro possono dare l' assenso ad indagare su molti paesi del mondo.

Questo caso si è verificato il 26 febbraio 2011 con la risoluzione n. 1970 quando il CdS ha denunciato la Libia al CPI e nel mese di giugno è stato emesso un ordine di arresto internazionale nei confronti del presidente libico Gheddafi.

La proposta francese è stata bloccata poi dal veto della Russia e della Cina.

L' Italia attualmente non fa parte del Consiglio di Sicurezza che ha 5 membri permanenti e 10 paesi membri a rotazione, ma con il gruppo degli undici paesi Amici della Siria ha appoggiato preventivamente questa richiesta.

Ed anche qui c'e' una contraddizione non formale ma gravissima nella sostanza. In questo gruppo di paesi, oltre agli Stati Uniti, sono presenti altri cinque stati che non hanno ratificato il trattato istitutivo della CPI: Arabia saudita, Qatar, Emirati arabi uniti, Turchia ed Egitto. E lo hanno fatto non a caso ma perchè i diritti umani non sono la loro massima preoccupazione, basta pensare ai 500 Fratelli musulmani condannati recentemente a morte in Egitto (per quasi tutti poi la pena è stata commutata in ergastolo), la chiusura di Youtube e Twitter in Turchia, la presenza di tribunali islamici per reati comuni negli Emirati Arabi e la Sharia (legge islamica) come legge dello stato anche in Arabia saudita e Qatar.

Marco Palombo

venerdì 23 maggio 2014

Novembre 2013, Le Monde Diplomatique - La CPI sotto accusa



La fronda dei paesi africani
La Corte penale internazionale sotto accusa

Riuniti in un vertice straordinario, il 12 ottobre 2013 i paesi membri dell’Unione africana hanno chiesto la sospensione dei procedimenti intentati davanti alla Corte penale internazionale (Cpi) contro capi di Stato nell’esercizio delle loro funzioni. Viene così messo in discussione uno dei principi di base della Corte: lottare contro l’impunità dei governanti. Motivata dalla situazione in Kenya, questa domanda evidenzia le contraddizioni inerenti al Tribunale. 

di FRANCESCA MARIA BENVENUTO *

«Dieci anni di lotta contro l’impunità», proclama con orgoglio il sito internet della Corte penale internazionale (Cpi). A partire dalla sua entrata in vigore, nel 2002, questo tribunale di nuovo genere giudica le persone accusate di genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra, e crimini di aggressione. Lo Statuto di Roma, il trattato fondativo della Cpi, deplora l’elevato grado di impunità, e la nuova giurisdizione è stata pensata proprio in rottura con il diritto penale internazionale classico, ritenuto inefficace. Al contrario del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia, e di quello per il Ruanda, i cui interventi si limitano a un territorio e a un periodo storico determinati, la Cpi può giudicare qualunque infrazione avvenuta dopo la sua messa in opera. È sufficiente la presenza di una di queste due condizioni: che l’individuo sospettato sia cittadino di uno dei centoventidue Stati firmatari – sui centonovantatré Stati membri dell’Onu; che i crimini in questione siano stati commessi sul territorio di uno Stato membro. Quest’ultima clausola permette di estendere la competenza della Cpi a paesi che non hanno accettato la sua giurisdizione. Inoltre la persona sospettata non può più esonerarsi dalla responsabilità riparandosi dietro la propria funzione ufficiale: lo status di capo di Stato o di governo, come quello di diplomatico, non protegge comunque dall’incriminazione. Dal 9 settembre 2013, la Corte lavora sul vicepresidente in carica del Kenya, William Ruto, per le violenze seguite alle elezioni del 2007. E del resto nel 2009 la Cpi ha emesso un mandato d’arresto contro il presidente sudanese Omar al-Bashir per le violenze verificatesi nella regione del Darfur.

 Alla Corte si possono rivolgere gli Stati e il Consiglio di sicurezza dell’Onu, ed essa può inoltre agire per iniziativa diretta del procuratore (azione motu proprio), attualmente la gambiana Fatou Bensouda, succeduta all’argentino Luis Moreno Ocampo (2003-2012). Complementare alle giurisdizioni penali nazionali, la Corte interviene solo se la celebrazione del processo si rivela impossibile nel paese in questione, per mancanza di volontà da parte del governo o per lo stato di crisi del sistema giudiziario. La complementarietà, concepita come una «concessione alla sovranità statale (2)», determina però una «discriminazione» a sfavore dei paesi con amministrazioni deboli, soprattutto i più poveri. Non per nulla i venti casi trattati finora riguardano tutti conflitti africani. In chiusura dell’ultimo vertice dell’Unione africana, l’attuale presidente dell’organizzazione, l’etiope Hailemariam Desalegn, ha accusato La Corte di condurre una vera e propria «caccia razziale». Così, malgrado le interessanti innovazioni introdotte nel suo statuto, la Corte non può sfuggire alle critiche. Essa sarebbe contesa fra due mondi, il politico il giuridico. Classico accordo internazionale, lo statuto di Roma è vincolante unicamente per i paesi che l’hanno accettato. Tre membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, Stati uniti, Russia e Cina, non l’hanno ancora ratificato. Washington paventa la messa in stato di accusa dei suoi soldati impegnati in operazioni di mantenimento della pace Mosca e Pechino temono procedimenti legati alla Cecenia e al Tibet. Per motivi simili in riferimento alla Palestina, anche Israele non ha riconosciuto la Cpi. Il dipartimento di Stato degli Stati uniti ha fatto firmare ad alcuni dei suoi alleati, soprattutto in Africa, accordi di non estradizione di cittadini statunitensi verso la Cpi nel caso di una loro implicazione in crimini compiuti sul territorio di Stati parte (3).
 
La Corte, dunque, oscilla fra il suo statuto di giurisdizione penale sovranazionale e i compromessi politici sui quali si fonda. Rimane dipendente dalla cooperazione effettiva degli Stati, soprattutto per far eseguire i mandati d’arresto emessi dal suo procuratore, non disponendo di una polizia o di un esercito propri. Malgrado la risoluzione 1556/2004 del Consiglio di sicurezza riguardante il Darfur, il governo sudanese ha sempre rifiutato di collaborare (4). Inoltre, il Kenya e il Chad – riflettendo un ampio consenso sul continente nero – hanno accolto il presidente al-Bashir sul loro territorio senza procurargli alcun problema… Di fronte a simili difficoltà, il procuratore deve dunque corteggiare i governi: la loro cooperazione è la condizione sine qua non del processo, che potrà aver luogo solo in presenza dell’accusato, non essendo previsti procedimenti in contumacia. Le scelte dell’accusa sono influenzate da una certa prudenza diplomatica. Per ottenere il sostegno dei governi, talvolta essa rinuncia alla prerogativa che meglio garantisce la sua indipendenza: la possibilità di avviare inchieste motu proprio. Questo potere, inedito nell’ordinamento internazionale, è stato usato molto poco. Quattro dei casi ai quali la Corte sta lavorando attualmente – riguardanti l’Uganda, la Repubblica democratica del Congo, la Repubblica centrafricana e il Mali – sono stati presentati dai governi interessati.

Moreno Ocampo ha agito di propria iniziativa in due soli casi: in Kenya e in Costa d’Avorio, nel conflitto fra Laurent Gbagbo e il suo concorrente Alassane Ouattara, nel 2012. Per complicare ulteriormente il lavoro del procuratore, Uhuru Kenyatta, accusato di crimini contro l’umanità, e destinatario di un mandato di arresto della Corte dal quale dovrebbe essere giudicato a partire dal 12 novembre, è stato eletto presidente del Kenya il 9 aprile 2013. Ma il margine di manovra della Corte è ulteriormente ridotto dallo ius vitae ac necis («diritto di vita e di morte») che il Consiglio di sicurezza esercita nei suoi confronti. Agendo in virtù del capitolo VII della Carta dell’Onu, il Consiglio può sospendere l’intervento, o al contrario estendere la giurisdizione della Cpi a Stati non parte (mediante un referral). È stato il caso per il Sudan nel 2003 e per la Libia di Muammar Gheddafi nel 2011. La risoluzione 1422 del luglio 2002 ha sospeso le indagini del procuratore sull’operato in Bosnia-Erzegovina – paese che ha firmato lo statuto di Roma – dei caschi blu dell’Onu, in particolare quelli statunitensi. L’azione del Consiglio si rivela dunque eminentemente politica: nel caso del Kenya e del Sudan, l’Unione africana ritiene che le misure adottate siano controproducenti e minaccino il processo di pace nei territori in questione (5). Il 5 settembre, il Parlamento di Nairobi ha chiesto al governo di denunciare la sua adesione alla giurisdizione internazionale, la cui azione minaccerebbe «la stabilità e la sicurezza» del Kenya.

Criticabili anche i criteri di selezione dei casi. Difatti il procuratore persegue solo i crimini che, in modo discrezionale, giudica più gravi (numero di vittime, durata, campo d’azione). E prende in considerazione anche il livello gerarchico dei potenziali responsabili. Questi criteri, molto incerti, hanno portato a scelte contestabili. Il procuratore ha rinunciato ad avviare indagini sulla guerra condotta in Iraq a partire dal 2003 perché «i crimini commessi appaiono di natura isolata e non rispondono al criterio di gravità (6)». Certo, i procedimenti avrebbero potuto essere intentati solo nei confronti di cittadini di paesi che riconoscono la Corte, come il Regno unito. Allo stesso modo, nel 2009 il procuratore non ha dato seguito alle accuse mosse dalla Palestina contro Israele. Moreno Ocampo ha ritenuto che spettasse «agli organi competenti dell’Organizzazione delle Nazioni unite o all’assemblea degli Stati parte decidere, sulla base del diritto, se la Palestina sia o no uno Stato ai fini dell’adesione allo statuto di Roma e, quindi, dell’esercizio della competenza della Corte (7)». Egli si trincerava così, prudentemente, dietro le difficoltà incontrate dalla Palestina nel vedersi riconosciuto dalla «comunità internazionale» lo status di Stato sovrano (8).
 
Amnesty International, dal canto suo, critica la parzialità delle procedure condotte relativamente alla Costa d’Avorio: mentre sono perseguiti l’ex presidente Gbagbo e sua moglie Simone, l’altro attore del conflitto post-elettorale, Ouattara, presidente attuale, non è coinvolto. L’associazione denuncia la «legge dei vincitori (9)». Secondo il procuratore, i crimini compiuti dall’ex capo di Stato sarebbero di una «gravità» tale da giustificare la diligenza della giustizia internazionale. Un altro rimprovero che si può muovere alla Corte è di ordine simbolico. La formula «lotta contro l’impunità» potrebbe nascondere una «giustizia fatta su misura per i potenti (10)». Il sistema penale internazionale corre allora il rischio di diventare uno strumento di legittimazione legale, ma anche morale, per i paesi in grado di sottrarsi alla Corte. L’invocazione di grandi valori dalla definizione forzatamente generica può favorire la politicizzazione delle scelte e aprire la porta a una giustizia a geometria variabile, dimentica del proprio dovere di imparzialità. Inoltre, la ricerca dell’esemplarità aumenta le attese. Oltre alla repressione dei crimini e alla punizione dei colpevoli, la giustizia internazionale diventa in una volta uno strumento di prevenzione, un rimedio contro la guerra, un’arma per la sicurezza globale e un mezzo per rendere giustizia alle vittime e assegnare loro un giusto risarcimento.

Altra innovazione dello statuto di Roma: la vittima partecipa attivamente all’amministrazione della giustizia mentre, davanti ai tribunali ad hoc, è semplice testimone, spesso strumentalizzato dall’accusa. Il suo contributo non è più limitato dalle frontiere probatorie della testimonianza. Ma così, il processo internazionale scivola verso il percorso terapeutico. Secondo alcuni giuristi, la giustizia è «una tappa nella necessaria ricostruzione della vittima (11)» e il nuovo ruolo ottenuto nel processo è «una prima pertinente risposta ai tanti traumatismi subiti (12)». Interpretazioni che rischiano di allontanarci da ogni razionalità giuridica. Esse tradiscono un grave errore ermeneutico, confondendo il diritto di accesso alla giustizia con il diritto di «ottenere giustizia», e avallando in tal modo una visione «giustizialista» delle istanze internazionali. Peraltro, la vittima può essere un elemento perturbatore nel processo, perché la sua emotività può nuocere alla serenità del dibattimento. Davanti alla Corte penale, essa presenta elementi probatori per giustificare il danno subito, ma anche per stabilire la colpevolezza dell’accusato, giocando il ruolo di procuratore privato ufficioso. Così la difesa si trova di fronte a due accusatori. Il simbolismo che rimane al centro della Cpi, tutto favorevole alle vittime, dimentica la figura dell’accusato e rende squilibrato il gioco processuale. Se le attese sono troppo grandi, lo saranno anche le delusioni finali: la Cpi comincia a trovarsi di fronte i «mulini a vento» creati dal simbolismo. È dunque necessario ridurre gli elementi simbolici: perché, come ricorda Tzvetan Todorov, «l’obiettivo della giustizia deve rimanere la sola giustizia (13)».


note:
* Avvocata, dottore in diritto penale internazionale all’università Napoli-II
(1) Si legga Jean-Arnault Dérens, «Justice borgne pour les Balkans», Le Monde diplomatique, gennaio 2013.
(2) Nacer Eddine Ghozali, «La justice internationale à l’épreuve de la raison d’Etat», in Rafaa Ben Achour, Slim Lagmani (a cura di), Justice et juridictions internationales, Pedone, Parigi, 2000.
(3) Si legga Anne-Cécile Robert, «Justice internationale, politique et droit», Le Monde diplomatique, maggio 2003.
(4) Cfr. Nicolas Burniat, Betsy Apple, «Génocide au Darfour: défis et possibilités d’action», Le Moniteur. Journal de la Coalition pour la Cour pénale internationale, n. 37, L’Aja, novembre 2008 - aprile 2009.
(5) Cfr. Jean-Baptiste Jeangène Vilmer, «L’Afrique face à la justice pénale internationale», Le Monde, 12 luglio 2011.
(6) Luis Moreno Ocampo, «The International Criminal Court in motion», in Carsten Stahn, Göran Sluiter (a cura di), The Emerging Practice of the International Criminal Court, Brill, Amsterdam, 2009.
(7) «Situation en Palestine», ufficio del procuratore, L’Aja, 3 aprile 2012.
(8) Per altri esempi relative al criterio della gravità, cfr. il rapporto dell’ufficio del procuratore relativo alle analisi preliminari, 13 dicembre 2011.
(9) «Côte d’Ivoire: la loi des vainqueurs. La situation des droits humains deux ans après la crise postélectorale», Amnesty International, Londra, 26 febbraio 2013.
(10) Danilo Zolo, La Giustizia dei vincitori, Laterza, 2006.
(11) Nicole Guedj, «Non, je ne suis pas inutile», Le Monde, 30 settembre 2004.
(12) Julian Fernandez, «Variations sur la victime et la justice pénale internationale», Amnis, Aix-en-Provence, giugno 2006, http://amnis.revues.org/890
(13) Tzvetan Todorov, «Les limites de la justice», in Antonio Cassese e Mireille Delmas-Marty (a cura di), Crimes internationaux et juridictions internationales.Valeur, politique et droit, Puf, Parigi, 2002. (Traduzione di M. C.)

http://www.monde-diplomatique.it/LeMonde-archivio/Novembre-2013/pagina.php?cosa=1311lm11.01.html
 

giovedì 22 maggio 2014

Siria-Il Consiglio di Sicurezza respinge una risoluzione per deferimento alla CPI


22 mai 2014 – Le Conseil de sécurité a rejeté jeudi un projet de résolution décidant de saisir le Procureur de la Cour pénale internationale (CPI) de la situation en Syrie, en raison d'un veto de deux membres permanents du Conseil, la Russie et la Chine.

Le projet de résolution, qui avait été présenté par la France et la Lituanie, condamnait « fermement les violations généralisées des droits de l'homme et du droit international humanitaire commises par les autorités syriennes et les milices progouvernementales, ainsi que les atteintes aux droits de l'homme et les violations du droit international humanitaire commises par les groupes armés non étatiques » en Syrie depuis mars 2011.
Le texte rappelait également les déclarations faites par le Secrétaire général et la Haut-Commissaire des Nations Unies aux droits de l'homme selon lesquelles « des crimes contre l'humanité et des crimes de guerre ont probablement été commis en République arabe syrienne. »
Avant le vote du Conseil de sécurité sur ce projet de résolution, le Vice-Secrétaire général des Nations Unies, Jan Eliasson, a appelé les Etats membres « à mettre de côté leurs différences et à finalement travailler ensemble sur une approche commune pour mettre fin au long cauchemar vécu par le peuple syrien. »
« Ils ont absolument besoin que les violences cessent et qu'une solution politique soit trouvée », a ajouté M. Eliasson dans un discours devant le Conseil.
Le Vice-Secrétaire général a rappelé qu'en février 2013, la Commission d'enquête avait conclu que la Cour pénale internationale était l'organe approprié pour la lutte contre l'impunité en Syrie et que la Haut-Commissaire des Nations Unies aux droits de l'homme, Navi Pillay a appelé le Conseil de sécurité à plusieurs reprises à saisir la CPI de la situation en Syrie.

http://www.un.org/apps/newsFr/storyF.asp?NewsID=32636&Cr=Syrie&Cr1=#.U34sSnLavKg

Membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite

Le Conseil de sécurité se compose de 15 membres, dont 5 membres permanents : Chine, États-Unis d'Amérique,Fédération de Russie, France et Royaume-Uni, et 10 membres élus par l'Assemblée générale pour un mandat de deux ans.

domenica 18 maggio 2014

Risoluzione ONU degli Amici della Siria per deferirla alla CPI?

L’Italia,insieme ai finanziatori di Al Qaeda, vuole che l’ ONU deferisca la Siria alla Corte Penale Internazionale

La ministra Mogherini il 15 maggio ha partecipato a Londra all’ incontro degli Amici della Siria con l’ opposizione siriana ad Assad legata all’ Arabia saudita, qui potete trovare il comunicato del Ministero degli Esteri. http://www.esteri.it/MAE/IT/Sala_Stampa/ArchivioNotizie/Approfondimenti/2014/05/20140515_sirmogcpiamsir.htm?LANG=IT

Da questo resoconto si evince che i paesi occidentali membri permanenti del Consiglio di Sicurezza proporranno presto, prima delle elezioni presidenziali siriane del 3 giugno, una risoluzione al CdS che chiede il deferimento del governo siriano alla Corte Penale Internazinale e la possibilità di imporre l’ accesso a forze “umanitarie” (ricordate il Cavallo di Troia?) in tutte le zone della Siria.
Questa richesta è stata concordata dai paesi amici della Siria che, REPETITA IUVANT….fino allo sfinimento…, sono:

Le grandi potenze occidentali: USA, Gran Bretagna, Francia, Germania,
un gregario occidentale: Italia
e i paesi mediorientali: Turchia, Egitto, Araba saudita, Emirati Arabi uniti, Qatar, Giordania.

L’ opposizione siriana, definita moderata dalla democratica Mogherini, è invece la Coalizione Siriana, guidata in questa momento da Jarba, uomo legato all’ Arabia saudita. Non è dato sapere se la Coalizione in questo momento comprenda o meno i Fratelli Musulmani, con il coordinamento da loro egemonizzato il CNS,  che alla vigilia della Conferenza di pace di Ginevra si erano dissociati dalla presenza dell’ opposizione siriana all’ appuntamento svizzero.

Comunque la Coalizione siriana è il riferimento politico del Fronte Islamico, un esercito finanziato dall’ Arabia saudita, che vuole introdurre la Sharia, la legge islamica, come legge dello stato. Così com’ è in Arabia saudita e negli Emirati arabi uniti.

La richiesta di approvare questa risoluzione non passerà perché quasi sicuramente la Russia metterà il veto, ed è proprio per questo atteggiamento russo, che non ha permesso all’ Occidente di realizzare con successo la strategia che aveva in mente, insieme alle petromonarchie, per la Siria, che la crisi ucraina è esplosa a inizio 2014….


Quando nel 2015 nel paese ai confini con la Russia erano previste elezioni.

Marco Palombo

venerdì 16 maggio 2014

Anche in Nigeria strategia mediatica per favorire missione militare. Ci casca anche Bergoglio.


Il 15 aprile le milizie integraliste islamiche di Boko Aharam hanno rapito in Nigeria 234 studentesse.
Non è la prima violenza operata dal gruppo jihadista che negli ultimi mesi si è distinto per gli assalti alle chiese cristiane ed a scuole con attentati e stragi che hanno causato decine di morti.

Sabato 10 maggio Michelle Obama sostituisce il marito Barak nel messaggio agli statunitensi e dedica il suo intervento in occasione della festa della mamma alle 234 ragazze, ricordando che sono coetanee delle proprie figlie. L' hashtag di twitter #BringBackOurGirls fa il giro del mondo ed anche il finora sobrio papa Francesco cede al consumismo e twitta un messaggio per le 234 ragazze nigeriane solo in occasione dello spot mondiale di Michelle.

Negli stessi giorni a Parigi davanti alla Tour Eiffel un gruppo di giovani donne, tra le quali Carla Bruni e Valèrie Trieweiler, ex compagna del presidente Hollande, si fanno fotografare per solidarietà con le ragazze, un sacrificio enorme.

Sulla Stampa inizia a scriverne Chirico, dopo le sue avventure in Libia e Siria e i suoi racconti deliranti sulla rivoluzione ucraina, rivoluzione fatta anche per noi europei che abbiamo perso le radici. Ha scritto veramente qualcosa del genere, speriamo di non ritrovare come stanno facendo gli ucraini, ne facciamo volentieri a meno.

Martedì la foto delle 234 ragazze fa il giro del mondo in Italia è sulla prima di Corriere e della Stampa, in grande, su Repubblica in formato molto piccolo.

Ma Repubblica si rifà venerdì 16 con una foto enorme a commento della donna sudanese condannata per essersi convertita al cristianesimo dal islam.

Intanto i giornali più seri, Corriere della Sera e La Stampa, cominciano a scrivere anche dell' aspetto militare della vicenda, con i droni in arrivo e allargano le notizie anche della strategia occidentale verso l' Africa.

Veniamo a sapere quindi:

Della prima missione africana di Kerry, in Congo, Sudan, Angola; della base USA di Gibuti Lemonnier, sede di droni Predator, F-15, 150 incursori e 3200 soldati; dell' inizio dei voli dei droni sul territorio nigeriano, dopo le iniziali resistenze del presidente di Lagos Johnatan.

Stesso copione degli ultimi anni: uso combinato di strategie mediatiche e sofisticati (e criminali )strumenti militari.

Ma non basta più scriverne sui blog, occorre studiare seriamente queste strategie e spiegarle alle gente. Anche perchè spero che non tutti siano disposti ad essere manipoli come scemi, nonostante questa volta sia toccato addirittura a papa Francesco farsi ingannare da una campagna mediatica militare USA.


Marco Palombo

mercoledì 14 maggio 2014

Ucraina, tutti contro e diversi da Ue e Nato, ma in ordine sparso. Renzi e Obama ringraziano e una guerra è possibile



Mentre la vicenda ucraina sta avviandosi ad un conflitto armato sempre più grande, in Italia tutti hanno posizioni diverse da quelle del governo italiano allineato con Unione europea e Nato.
Persino Berlusconi definisce un errore isolare Putin. Grillo, con più di 100 parlamentari e i sondaggi che danno il M5S sopra il 20%, nei casi più unici che rari in cui si è espresso sulla vicenda ha esternato posizioni in netto contrasto con il governo.
In ambienti pacifisti Zanotelli e Gesualdi, con l’ aiuto di esponenti nonviolenti “contro tutte le guerre” hanno scritto appelli e piani dove propongono e cercano una equidistanza tra Ue ,Usa e Russia. Equidistanza che in questo caso ritengo errata, ma la posizione proposta è in modo inequivocabile diversa da quella del governo italiano.
La sinistra “di classe” è nettamente contraria all’ azione della Nato con giudizi diversi sul ruolo di Putin che viene visto da qualcuno come continuatore del ruolo positivo dell’ Urss, da altri come baluardo contro la Nato, da altri ancora come amico dei repressori della rivoluzione, infine da qualcuno, posizione che condivido, come leader di un paese che fa i propri interessi in questo caso in netto contrasto con quelli di Usa e Nato.
Il ruolo dell’ ONU viene talvolta esaltato  anche quando è assolutamente subalterno all’ Occidente, mentre altri denigrano questa istituzione anche quando sfruttandola come potrebbero Russia e Cina avrebbero fermato le ingerenze crescenti occidentali in Africa.
Risoluzioni delle Nazioni Unite che hanno permesso interventi militari in Libia ( storia ormai vecchia del 2011) e attualmente operative in Mali e nella Rep.Centrafricana  sarebbero state bloccate da un veto russo o cinese che non è mai arrivato.
Una decina di piccole formazioni italiane hanno preso posizione contro la politica dell’ Ue e italiana, ma un appello comune contro l’ operato della Nato-Ue è stato fatto solo da alcuni personaggi, alcuni dei quali non erano mai intervenuti nella vicenda, mentre sono stati esclusi  i pochi gruppi di attivisti che finora si sono impegnati.
In questa confusione Renzi ed Obama ringraziano e la Mogherini può tornare serena dal suo viaggio negli Stati Uniti dove ha incontrato Kerry e nello stesso tempo il mondo accedemico statunitense.
In Italia nessuno vuole confondersi con la Nato,
ma nessuno vuole unirsi agli altri per contestare la politica della Nato,
che vede l’ Italia fedelissima sostenitrice, anche quando la politica dell’ Alleanza Atlantica danneggia i suoi interessi nazionali.

Marco Palombo

lunedì 12 maggio 2014

Lettera di Tolstoj a Gandhi. Jasnaja Pojana, 8 maggio 1910



Caro amico,

ho appena ricevuto la vostra lettera e il vostro libro The Indian Home Rule.
Ho letto il vostro libro con grande interesse, perchè ritengo che la questione che voi trattate in esso, la resistenza passiva, abbia una grandissima importanza non solo per l' India ma anche per l' intera umanità.

Non sono riuscito a trovare le vostre lettere precedenti, ma mi è capitata tra le mani la vostra biografia scritta da J.Doke, che mi ha molto interessato e mi ha dato la possibilità di conoscervi e di capire meglio la vostra lettera.

Attualmente non sto del tutto bene, e perciò rinuncio a scrivervi tutto quello che ho da dire sul vostro libro e su tutto il vostro lavoro che apprezzo moltissimo: ma lo farò appena mi sentirò meglio.
Vostro amico e fratello.


Lev Tolstoj

Lettera di Tolstoj a Gandhi. Kocety, 20 settembre 1910




Ho ricevuto la vostra rivista Indian Opinion e mi sono rallegrato nell' apprendere tutte le informazioni che vi si danno a proposito dei non-resistenti. E volevo esprimervi i pensieri che quella lettura mi ha suscitato.
Più vivo, e specialmente ora che sento vivamente l' approssimarsi della morte, più desidero dire agli altri ciò che sento intensamente e ciò che – a mio modo di vedere – ha una enorme importanza; desidero soprattutto parlare di quello che si chiama non-resistenza e che in sostanza altro non è che l' insegnamento dell' amore, non deformato da false interpretazioni. Che l' amore – cioè la tensione delle anime umane all' unione e a l' attività che ne deriva – sia la legge suprema e e unica della vita umana, questo nel profondo dell' anima lo sente e lo sa ogni uomo (lo vediamo con la massima chiarezza nei bambini): lo sa, finchè non viene confuso dai falsi insegnamenti del mondo.

 Questa legge fu proclamata da tutti i saggi dell' umanità, tanto indiani, quanto cinesi ed ebrei, greci, romani. Penso che con la massima chiarezza fu espressa da Cristo, che disse anche espressamente, che in questo solo sta tutta la legge e i profeti. Non solo, ma prevedendo la deformazione alla quale questa legge è soggetta e che essa può esibire, additò esplicitamente il pericolo di questa deformazione, caratteristica delle persone dedite a interessi mondani; additò soprattutto il pericolo consistente nel giustificare la difesa di questi interessi con la forza; cioè, come egli diceva, di rispondere colpo su colpo, di riprendere con la forza quanto ci è stato tolto ecc.  Egli sapeva, come non può non sapere ogni uomo ragionevole, che l' uso della violenza è incompatibile con l' amore come legge fondamentale della vita; che, non appena si ammette la violenza, in qualsivoglia caso, si ammette l' insufficienza della legge dell' amore e perciò si rigetta la legge stessa. Tutta la civiltà cristiana, per quanto esteriormente brillante, è cresciuta sulla base di questi fraintendimenti e di queste contraddizioni, evidenti, strane, talvolta consapevoli, il più delle volte inconsapevoli.

In sostanza, non appena accanto all' amore fu ammessa la resistenza, allora non ci fu più, né poteva esservi l' amore come legge della vita; non vi fu più legge dell' amore, anzi non vi fu più legge alcuna, se non quella della violenza cioè del potere del più forte. Così per 19 secoli ha vissuto l’ umanità cristiana. In verità, gli uomini di tutti i tempi si fecero guidare dalla sola violenza nell’ organizzare la propria vita. La differenza tra la vita dei popoli cristiani e quella di tutti gli altri sta solo nel fatto che nel mondo cristiano la legge dell’ amore fu espressa con chiarezza e precisione quale non si trova in nessun altro insegnamento religioso e nel fatto che gli uomini del mondo cristiano hanno solennemente questa legge e contemporaneamente hanno ammesso la violenza e sulla violenza hanno costruito la propria vita. E perciò tutta la vita dei popoli cristiani è una netta contraddizione tra ciò che essi professano e ciò su cui costruiscono la propria vita: contraddizione tra l’ amore riconosciuto come legge della vita e la violenza, accettata perfino e lodata come necessaria in varie forme, come il potere dei governanti, i tribunali e l’esercito. Tutta questa contraddizione è cresciuta di pari passo con lo sviluppo dell’ umanità appartenente al mondo cristiano e ultimamente ha raggiunto il suo grado più alto. Il problema è ora evidentemente questo: o riconoscere che non accettiamo alcun insegnamento etoco-religioso e siamo condotti nell’ organizzazione della nostra vita dal solo potere del più forte, oppure che tutte le nostre tasse, raccolte con violenza, tutte le nostre istituzioni giudiziarie e di polizia e, soprattutto, l’esercito debbono essere aboliti.

Quest’ anno in primavera, all’ esame di religione cristiana in uno degli istituti femminili di Mosca l’ insegnante di religione e poi il prelato presente interrogavano le ragazze sui comandamenti e particolarmente sul sesto. Dopo che esse avevano dato la giusta risposta a proposito del comandamento, il prelato di solito poneva ancora una domanda: “La legge di Dio proibisce sempre e in tutti i casi di uccidere?”. E le infelici ragazze, sviate dai loro superiori, dovevano rispondere e rispondevano: “non sempre, uccidere è permesso in guerra e come punizione dei delinquenti”. Ma quando a una di queste povere ragazze (ciò che racconto non è invenzione, è un fatto raccontatomi da un testimone oculare), dopo la risposta, fu rivolta la solita domanda: “è sempre peccato uccidere?”, essa, emozionata e rossa in viso, rispose con decisione “sempre”; e a tutti i soliti sofismi del prelato rispondeva con decisione e convinzione che uccidere è vietato sempre e che uccidere è vietato anche dall’ Antico Testamento ed è proibito da Cristo non solo uccidere ma far male in qualsiasi modo ai fratelli. E nonostante tutta la sua solennità e tutta la sua abile eloquenza, il prelato tacque e la ragazza uscì vincente.

Si, noi possiamo parlare nei nostri giornali dei successi dell’ aviazione, di complesse relazioni diplomatiche, di vari club, di invenzioni, di associazioni di ogni genere, delle cosiddette produzioni artistiche e possiamo tacere di ciò che ha detto questa ragazza; ma tace di questo non si può perché questo lo sente più o meno confusamente ogni uomo del mondo cristiano. Il socialismo, il comunismo, l’ anarchismo, l’ esercito della salvezza, la criminalità crescente, la disoccupazione, il crescente e insensato lusso dei ricchi e miseria dei poveri, il terribile aumento dei suicidi: tutti questi sono segni di quella interna contraddizione che deve e non può essere risolta. E deve essere rivolta naturalmente nel senso di riconoscere la legge e di rifiutare ogni violenza. E per questo la vostra attività nel Transvaal, che ci pare ai confini della terra, è l’ opera più centrale, più importante fra tutte quelle che si svolgono attualmente nel mondo, e di essa saranno partecipi necessariamente non solo i popoli del mondo cristiano, ma quelli di tutto il mondo.
Penso che vi farà piacere sapere che anche da noi in Russia quest’ attività si sviluppa rapidamente nella forma del rifiuto del servizio militare, che si fa ogni anno più diffuso. Per quanto sia esiguo il numero dei vostri non resistenti, come pure il numero dei nostri obiettori in Russia, quelli e questi possono dire con orgoglio: “Dio è con noi”. E Dio è più potente dell’ uomo.

Quandi si accetta il cristianesimo, sia pure in quella forma deformata in cui si professa tra i popoli cristiani, e allo stesso tempo si accetta la necessità degli eserciti e degli armamenti per uccidere su vasta scala nelle guerre, si incorre in una contraddizione evidente, stridente: essa deve necessariamente, presto o tardi, probabilmente molto presto, rivelarsi e distruggere l’ accettazione della religione cristiana, necessaria alla conservazione del potere, o l’esistenza dell’ esercito e di ogni violenza da questi sostenuta, non meno necessaria per il potere. Questa contraddizione è percepita da ogni governo, tanto dal vostro britannico, quanto dal nostro russo, e per naturale istinto di autoconservazione , questi governi perseguitano energicamente – come vediamo qui in Russia e vediamo dagli articoli del vostro giornale – la vostra più di ogni altra attività antigovernativa. I governi sanno in che cosa sta il principale pericolo per loro e con sagacia difendono in tale questione non solo i loro interessi, ma la questione stasse dell’ “essere o non essere”.

Con la più viva stima


Lev Tolstoj